Fantasia e precisione. Schermo piatto e
terza dimensione. Islam e occidente. Elementi distanti, a volte
opposti, che si affiancano compenetrano e arricchiscono
reciprocamente. Maurits Cornelis Escher e' tutto cio', come ed anche
piu' di quanto mi aspettavo. Lo realizzo visitando finalmente una sua
retrospettiva a palazzo Reale di Milano, ampia e ben allestita, anche
quanto a capacita' di interagire con lo spettatore: e non tanto
grazie ai touch screen quanto per le sfere ed i pannelli che
consentono di cimentarsi nei giochi visivi del protagonista.
L'attrazione per il segno di questo
fiammingo novecentesco non e' nuova, per me come per tanti altri: da
decenni sono svariate le citazioni delle sue opere sui media
contemporanei, siano essi scene di blockbusters come Una notte al
museo, copertine di dischi del Pink floyd o t-shirt di moda o da
bancarella (come la reinterpretazione nella foto qui riprodotta: in vendita su superheroden.com). Personalmente, ignoravo pero' la varieta' di
corrispondenze tra le sue 'tracce' e quelle di altri luoghi o persone
assai ricche di suggestione per me. Con l'art nouveau in primis,
milieu di provenienza del maestro di Escher Jasserun de Mesquita; con
Vienna e il movimento artistico della Secessione, di cui Klimt fu
alfiere; con il decorativismo arabo, magnificato in quell'Alhambra di
Granada che Escher visito' due volte; con le originalita' dei suoi
connazionali predecessori, ad esempio il Van Eyck dei coniugini
Arnolfini che giustamente l'esposizione milanese pone ( in copia) di
rimpetto alla Mano con sfera riflettente; con le vedute romane e con
il Borromini, perfino con il Futurismo di Balla. E poi ancora con il
cosmo infinito su cui molti dei disegni di Escher indugiano; con
Stilo, Segesta, San Gimignano; nondimeno, con la Siena senza cielo
che frequento' nel 1914. Soprattutto, con quella vocazione al gioco
ed alla raffigurazione fantasiosa che molto spesso e' radice di cio'
che considero vivo e innovativo. E si' che dev'esser stata tale per
il suo tempo la sua opera-simbolo Metamorfosi, dove scacchiere
diventano pesci che diventano uccelli che diventano campi che
diventano scacchiere...tutto perfettamente incastonato.
Dalla mostra si esce con un senso di
meraviglia che e' come un pieno di benzina per la nostra curiosita'
interiore; specie se, come nel mio caso, compagni di visita sono
bambini tutt'altro che annoiati. Nel suo piccolo (si fa per dire)
Escher riuscì a raffigurare e far convivere armonicamente elementi opposti che ognuno di noi necessariamente porta' dentro di se',
ma che raramente riusciamo a conciliare: disegno e matematica, estro
e rigore, regolarita' e attrazione per l'impossibile, spazi
illimitati e riprova del nove.
Resta il cruccio del bianco e nero,
scelta pressoche' esclusiva: Escher non si dedico' mai al colore, e
chissa' cosa ne sarebe sortito. Anche questo stupisce un po': a
rincarar la dose, dato che come lui usava dire "lo stupore e' il
sale della terra".
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