lunedì 22 agosto 2016

Ascensioni estive: il lago Nero




Oggi mi chiedo se molti disastri non nascano proprio dalla scomparsa del cammino...”
(Paolo Rumiz, breviario vagabondo – il mondo oltre lo schermo del tablet, La Repubblica 5/8/2016)


Piccole esperienze ascensionali d'estate. Abetone, provincia di Pistoia, ultimo comune sul confine Tosco-Emiliano alle pendici dell'omonimo comprensorio montano. Stazione turistica non risparmiata da quel lento declino che sembra colpire inesorabilmente la maggior parte dei piccoli centri italiani. Lo raccontano gli occhi volitivi ma affaticati della titolare dell'hotel Excelsior (lo gestisce dal 1939, salvo una forzata parentesi per mano degli invasori tedeschi); lo racconta la voce della pizzicagnola del paese, che ad un villeggiante in cerca di una lavanderia a secco risponde “non ce n'è più una nel raggio di 50 chilometri”. Lo racconta, anche, il dopocena in piazza di un giovedì d'agosto: una quindicina di giovani impegnati sul campo di calcetto, altri 4 o 5 su una panchina con sguardi chini sugli smartphone, altrettanti ai tavolini di un bar. Poco o nulla più.


IL SENTIERO


Abetone significa l'offerta più ampia di piste da sci in Toscana. Ed una interessante sentieristica per le stagioni miti. Dall'Orto botanico forestale, in località Fontana Vaccaia, nella valle del torrente Sestaione, prende il via un percorso affascinante sin dal nome della sua mèta: Lago nero



Un'ora e mezza abbondante di camminata all'insù, molto spesso ripida (si parte a quota 1300, si arriva a 1730 metri), immersa in un bosco a tratti fitto di abeti bianchi, rossi e soprattutto faggi. Colonna sonora per la lenta risalita la fanno le acque del torrente, che spesso corrono a fianco del sentiero scorrazzando tra cascate e limpidi ristagni. Rari gli altri rumori; rarissime le voci umane. 

LA CASETTA




Nel mezzo di un impegnativo strappo in salita, a metà di un percorso condotto quasi in solitaria, c'è la casetta dei pastori. Ristrutturata recentemente dal Gruppo trekking Val Sestaione, fu teatro di nascondigli, rastrellamenti ed eccidi durante la seconda guerra mondiale, come ricorda un'opportuna lapide. Oggi fa da oasi per viandanti affaticati, o da pratica soluzione per braciate estive all'aria fina.


I PENDII


Dopo la casetta, il cammino verso il Lago Nero pone di fronte il primo dei due tratti più impegnativi. L'ultimo, quasi un'ora più tardi, ci imporrà di arrampicarci (ma non servono ramponi, un buon bastone è sufficiente) tra fusti d'albero e radici, facendo a meno del sentiero battuto. Una sollecitazione impegnativa che prelude ad un sollievo di proporzionale soddisfazione. In cima allo strappo finale la chioma delle alte piante si dirada, lasciando intravedere una brughiera che anticipa gioie per la vista. Si capisce che di lì a pochi istanti lo sguardo spazierà ad angolo giro, senza più ostacoli d'orizzonte sopra la testa o davanti agli occhi. E' la stessa sensazione provata esattamente due anni prima, in cima al percorso etneo cominciato al rifugio Citelli. Sollievo e soddisfazione che soffiano via la fatica e il respiro reso affannoso dalla pendenza.




IL LAGO

Scopriamo le cime dei monti e i loro crinali: l'alpe Tre potenze, il monte Gomito, quello curiosamente ribattezzato 'libro aperto', per via della sua forma. Distinguiamo anche l'artificiale innesto unano della stazione d'arrivo per l'ovovia, tante volte utilizzata in inverno. Altri pochi minuti a passo moderato, e finalmente ecco il lago: benché non nero, non delude perché in questa giornata di sole estivo (ma non opprimente) ben simboleggia il ruolo centrale dell'acqua, nell'armonico convegno di manifestazioni della natura. Il verde delle piante di mirtillo che disseminano i prati cangia con il grigio delle rocce e l'azzurro del cielo, che tutto sovrasta.


Poco sopra al lago una casupola adattata a bivacco; tutto intorno qualche tavolo per spuntino, escursionisti di varia specie ed età, spalmati sulla ulteriore rete di sentieri che da qui si prolunga verso le parti più alte dei monti. Micro-folle di villeggianti che godono della natura rispettandola e consentendo ad altri di fare serenamente altrettanto, Una manna per vista e cuore.

Dalla finestra del bivacco intravediamo i letti a castello a disposizione di chiunque voglia pernottare portandosi l'occorrente. Di fianco, un ristoro sui generis dove – voce non verificata direttamente – due giovani osti in kilt dispensano crostate al solo costo di un sorriso (ovvero: a offerta libera).

Il dislivello rende impegnativa anche la ridiscesa dal lago verso valle. Certo non quanto la salita, e in meno di un'ora siamo al punto di partenza; ovvero, all'ingresso dell'Orto botanico forestale. Che vale la visita, sia per l'assortimento di specie vegetali autoctone e non, sia per la passione con cui i volontari-studenti di scienze naturali fanno strada dispensando nozioni e curiosità. 



E una volta di più, poche righe non rendono giustizia alle sensazioni raccolte in cammino. E al benessere che ne consegue.



Dagli sciatti agli scialli, via Tiriolo

Tiriolo


A distanza di anni, la Calabria continua a meravigliare per sciatteria ambientale e architettonica. L'ultimo esempio in ordine di tempo: arrivo per la prima volta a Cropani marina e scorgo una palazzina di soli mattoni per ritto, incompleta perfino dello scialbo, già bellamente popolata come casa vacanze. Magari chi vi trascorre le ferie vive per il resto dell'anno in un'abitazione appena migliore, e passare qualche giorno in un edificio del genere appare il male minore. Il problema probabilmente sta a monte, in un'economia che anziché svilupparsi implode. Ancora una volta.

Però la Calabria è anche quel posto dove a volte trovi soluzioni, o almeno tentativi, che altrove non vedi. Anni fa conobbi Riace e la sua storia di accoglienza, antesignana di quell'attualità che ancora in questi giorni divide l'Italia sul “che farne” dei migranti. Stavolta è il turno di Tiriolo dove - stando a quanto letto nei mesi scorsi – un casuale ritrovamento archeologico ha stimolato energie sociali e imprenditoriali inedite, o almeno sopite. 

l'area di scavo


Complice l'entusiasmo di un archeologo del Nord, e la mescolanza tra la personalità sua e di alcuni autoctoni, i resti del “palazzo dei Delfini” (IV secolo AC) hanno propiziato una inedita aggregazione di forze in cerca di futuro, Per il momento, questa ha la forma – giuridica – di Scherìa, una cooperativa di comunità, variante applicativa del concetto di impresa sociale. 

Scialle Tessilart

Vico Cigala

Il telaio di Mirella Leone

A luglio di quest'estate ho provato a fare un blitz verso Tiriolo e questo famigerato palazzo. I miei propositi di visita hanno cozzato su un cancello chiuso, privo di cartelli recanti informazioni per l'accesso. In un tardo pomeriggio d'estate ci può anche stare, mi sono detto. Ho ripiegato su un giro tra i vicoli sali-scendi della parte vecchia del paese, scoprendoli ben più affascinanti di quel che avrei pensato. Qui l''antica e perduta tradizione dei vancali (scialle) di cui avevo sentito parlare, mi si è affacciata davanti agli occhi. Prima attraverso il cortile di un palazzo dove alcune anziane erano all'opera; poi dalla piccola ma elegante bottega artigiana Tessilart, la signora Mirella Leone prosegue caparbia l'insegnamento della madre, sbattendosi contro i venti contrari dei margini ridotti e del mercato massificato (“mi è rimasto un solo fornitore di seta, da Biella; quando chiuderà anche qui, non so dove troverà la materia prima” dice), e dando vita a prodotti pregevoli al tatto come alla vista,quanto non 'seriali'.

uno dei messaggi di lancio per Scherìa


La qualità archiettonica di Tiriolo è ben migliore di quanto si trova nei dintorni, Forse anche per questo qui c'è ancora il seme dell'utopia. Ai primi di agosto le mura del paese sono state decorate con una fitta serie di ignote impronte di mano. Abitanti, passanti e stampa locale hanno preso a chiedersi chi fosse l'autore, e cosa volesse dire. Stavolta però il messaggio nascosto non era minatorio: di lì a poco chiunque ha riconosciuto quelle stesse mani sui manifesti che annunciavano la nascita della cooperativa di comunità. Che ora si è svelata ufficialmente, piena di entusiasmi. E prossimamente vedremo se questi daranno vita ai fatti.

domenica 21 agosto 2016

Modena: il villaggio Ferrari e il condominio Panini



Enzo Ferrari detestava il colore rosa, e per questo motivo lo bandì in eterno dalla palette di possibili personalizzazioni per le vetture con il cavallino rampante. Un puro vezzo, che in fin dei conti rinforza ulteriormente il concetto di esclusività che è alla base del successo planetario di quel marchio. Un esempio, non solo per qualità di prodotto e per capacità commerciale: Ferrari è un fenomeno in cui l'essere inarrivabile per la maggior parte dei comuni mortali è proporzionale all'attaccamento di quella stessa moltitudine. Di solito non prediligo questo tipo di marchi elitari e relative storie; ma quando qualità del lavoro, coraggio (Formula 1), storie umane e passione collettiva si uniscono raggiungendo tali livelli, il fascino che ne consegue è innegabile e duraturo. 

immagine della prima sede Ferrari a Modena

Entrare nel mondo Ferrari dove questo ha 'casa', ovvero a Maranello, non fa che confermare queste impressioni. Nel locale Museo Ferrari (da pochi anni affiancato all'originaria Casa-museo Enzo Ferrari di Modena) alloggiano in quantità monoposto originali di Formula uno e modelli “stradali”; la ricostruzione dello studio di Enzo Ferrari e quella del paddock, i simulatori di gara e una “hall of fame” ricca di trofei, davvero suggestiva. 

berlinetta Ferrari

una delle monoposto che furono di Villeneuve

la "hall of fame"

i modellini degli 89 modelli corsa prodotti

il modello da corsa più recente

il primo modello da corsa prodotto
uno dei motori Ferrari F1

la riproduzione del paddock

la riproduzione dello studio di Enzo Ferrari

alcuni dei modelli originali F1


Moltiplica la curiosità soprattutto la visita all'interno della fabbrica, o meglio tra i viali che la attraversano, compiuta a bordo di una navetta dalla quale è vietato scattare foto. Il lavoro dei 3mila dipendenti in tuta rossa si intravede appena, dietro ai padiglioni ed alla galleria del vento disegnata da Renzo Piano. L'esperienza è comunque interessante, benché non economica (15 euro l'ingresso al museo, 25 il tour); è in linea con il posizionamento elitario, al pari del listino di gadget e capi di abbigliamento che si ritrovano nel vicino Ferrari Store. Proporzionalmente più economiche le tante proposte di giro in Ferrari (guidato o non) che promamano dai garage delle vie circostanti. Poco più in là, perfino un Istituto tecnico superiore porta il nome (e il marchio) Ferrari. Dal 1939 questa storia ha sempre avuto casa in questo comune, disdegnano ogni tentativo di delocalizzazione. Ce ne andiamo con la convinzione che il “made in Italy” continuerà ad avere un'accezione positiva fintanto che lo farà anche il marchio Ferrari (e Maranello). E viceversa.

L'ingresso principale dello stabilimento

L'ingresso al reparto corse


Ciò non toglie che il buon 'fatto in Italia” possa avere anche facce diverse. Nel giro di pochi minuti di tragitto in auto si passa da Ferrari a Edizioni Panini, ovvero dallo stabilimento da archistar ad una palazzina anni '60. In via Emilio Po a Modena ha sede il marchio leader mondiale nella produzione di figurine adesive, camuffato e immerso in un anonimo isolato urbano, Il portone è in grigio stile condominiale; la reception più scarna di quella di una Usl. Non c'è bookshop, men che mai uno spazio espositivo (in centro a Modena c'è il museo della Figurina, che però in estate resta chiuso per ben due mesi). L'unico spazio accessibile agli esterni è l'area clienti, ovvero un open space di forse 80 metri quadri dove una decina di operatori rispondono a mail e telefonate esterne, in mezzo ad un arredo quantomai essenziale. Praticamente nessuna concessione al visual merchandising, e la pur cordiale attenzione concessa al visitatore dal personale presente è limitata allo stretto indispensabile per reperire figurine mancanti o collezioni complete a saldo. 

la sede di Edizioni Panini
 
Tutto un altro mondo rispetto a Ferrari, e a ciò che immaginavamo: eppure anche questa è la faccia di un'Italia che il mondo apprezza. Al pari – meglio: al fianco – di luoghi come il Duomo di Modena e le sculture animali che vi forgiò sopra Wiligelmo.

Duomo di Modena - particolare