lunedì 21 settembre 2015

Nel covo della sharing economy



 “I villaggi sono molto diversi fra loro, perché i villaggi li fanno le persone che li vivono”.

Non ricordo il nome del grazioso volto di madre (due figli piccoli al seguito, di cui uno con poppata live a fine pranzo) che ha pronunciato queste parole. Una madre giovane ma non giovanissima, espressione bella e un po' malinconica. Una donne errabonda, con prole e marito un po' logorroico; da due anni usciti dalla routine metropolitana per cercare una nuova e più sana àncora in un'altra vita possibile, che ad oggi sembrano non aver trovato.

Loro, come un'altra manciata di persone, erano tra i visitatori accolti, un soleggiato sabato di settembre, in una delle periodiche 'giornate aperte' di Bagnaia. Che non è la location di un concorso ippico, bensì – peraltro a breve distanza – la sede di una delle più longeve 'comuni' (o eco-villaggio?) d'Europa. Uno di quei posti dove la sharing economy la praticano da un pezzo; ogni giorno, non per moda ma per scelta di vita radicale, talvolta (per alcuni, almeno) anche troppo.  10, 20 in qualche caso anche decine di persone che  condividono spazi, guadagni, riserve economiche e decisioni anche delicate. In Italia gli eco-villaggi sono perlopiù aderenti ad una specifica 'rete' (la Rive), tutti un po' simili ma nessuno davvero uguale all'altro. Così, almeno, si racconta. Nelle righe che seguono ne vediamo uno da vicino. Ma senza ripercorrerne la storia, l'estensione, i dati esteriori; per quello, basta aprire altre finestre. Piuttosto, attraverso le persone (qui ribattezzate con nomi di fantasia, per discrezione). Perché sono appunto loro, le persone, a fare i villaggi. Molto più delle mura e dei campi.




 La Fata turchina.
Minuta, lunghi capelli chiari, rughe che cristallizzano sul volto quel sorriso interiore che è spesso pronta a sfoggiare. Forse la più rappresentativa dell'esperienza-Bagnaia. “Autoctona', è lì dagli inizi, dà l'idea di portare i segni nell'anima come sulla pelle dei 36 anni trascorsi in questo modo.  E' li che ha coniugato il lavoro nelle scuole di Siena (professoressa di matematica), il rapporto coniugale con il marito (poi separato, oggi altrove) e il rapporto con il territorio circostante, la cui traccia migliore restano probabilmente i canti collettivi in ottava rima in giro per le campagne, cui partecipa oggi più che mai, quando viene maggio.

Jack Sparrow.
 Alto, prestante, tatuato, pizzo e lunghi capelli scuri. Artista di strada dall'età minore, origini lombarde, vive da 10 anni a Bagnaia (quando non è in giro per l'Europa a tirar birilli per aria) dimorando all'interno di un carrozzone, il suo sogno di focolare diventato realtà grazie alla comune. Con lui c'era anche la moglie, che qualche anno fa ha deciso di separarsi e andar via da Bagnaia; e il figlio, oggi diciassettenne, già sparring partner di giocolerie fino al 2015, suo (primo?) anno sabbatico.

Mangiafuoco.
Uno degli apporti più recenti alla vita della Comune, ma anche dei più 'consistenti'. Qui da circa un anno, originario dei monti Iblei, in cima a un fisico robusto e ad volto tondo incorniciato da barba, raccoglie un ampio crocchio di capelli rasta. E' l'uomo di punta per i lavori nei campi e nei boschi; è lui che parla con più coscienza (preoccupata, a tratti) e passione di spollonature, tagli di legna e orti. A dispetto dell'apparenza un po' burbera, dà l'idea di avere un cuore davvero grande. Almeno così pare.

Gino.
L'altro reduce della fondazione di Bagnaia, cui peraltro giunse già ampiamente rodato essendo praticamente nato a Nomadelfia, e lì rimasto fino alla soglia dei trent'anni. “Mi dicevano che eravamo tutti uguali e fratelli, e poi quando c'era da decidere ci tenevano fuori. Così, alla lunga, me ne andai”. Arrivò a Bagnaia con un carico di anticlericalismo (che a Bagnaia pare condiviso un po' da tutti); e di creatività, espressa in quasi tutti manufatti (sculture, bassorilievi) che adornano mura e giardini, e che i 'bagnaroli' mostrano con orgoglio ai visitatori “nonostante che mi abbiano sempre detto che non facevo niente, perché stavo dietro a queste cose”. Una di queste, una grande scultura, rappresenta l'incomunicabilità tra uomo e donna; abbozzata poco prima che la moglie di Gino lo lasciasse, a causa di questa decisione egli decise di completare solo il lato maschile dell'opera. Per rappresaglia, l'ex coniuge ne martellò i genitali, tutt'ora rimasti in versione mutilata. Oggi a Bagnaia, oltre a lui, risiedono sia l'ex moglie che la nuova compagna. Parlando a tavola esprime sfiducia per come evolve il mondo, e per la scarsa presa che la memoria ottiene sui giovani. Ma si entusiasma nel raccontare come volontà intuito e nuove tecnologie possano combinarsi per salvare ambiente e umore. “A me piacciono i fiori e mi sentivo frustrato dal non poterli annaffiare abbastanza, a causa della scarsità d'acqua. Poi dissi: perché non raccogliamo l'acqua piovana dei tetti? Così realizzammo un invaso apposta, dove oggi si può farci anche il bagno insieme alle gallinelle d'acqua dolce. E poi, abbiamo alimentato una pompa per portare su l'acqua da una sorgente che è più a valle per una trentina di metri. Ci siamo riusciti con i pannelli solari, senza dover ricorrere a chissà quali archibugi. E' meraviglioso”. A 75 anni ha tutti capelli (bianchi), un viso scolpito da rughe e un espressione che sembra sempre sorridente e dissacrante, anche di fronte alle amarezze.

Fred & Wilma
Coniugi, professori (filosofia lui, tedesco lei) alle scuole superiori, in pensione da appena pochi giorni. Con loro l'incontro dei visitatori nella giornata aperta assomiglia più ad una lezione in classe. Sembrano il think thank della comune, anche se per costituzione essa non dovrebbe averne. Con loro le questioni più spinose dell'esperienza-Bagnaia escono più allo scoperto, si legano alle pene del mondo circostante, e tratteggiano sui loro volti un senso di smarrimento (nel caso di lei) o di “calmi ragazzi, stiamo precipitando” quando Paolo snocciola dissertazioni politiche o previsioni eco-socio-demografiche. Non mancano però di dissimulare speranza, parlando di ciò che stanno facendo per i profughi approdati nel territorio (“io ateo, comunista e anticlericale, su questo problema mi ritrovo accanto alla chiesa come a nessun altro”), e serenità: quando, in capo alla passeggiata nel bosco, raggiungiamo le due pietre scolpite che ricordano le prime due 'bagnarole' scomparse e qui seppellite: “sono le prime che restano con noi in forma diversa. Piano piano, magari, le seguiremo...”

Gli altri.
 A settembre 2015 Bagnaia è dimora fissa per altre 10 persone: quasi tutte si intravedono durante il pranzo o il resto della giornata; spicca una giovane e minuta figura dai capelli neri, una delle ultime arrivate, fresca di visita nella sua Catania di cui sfoggia un abito leggero a fiori comprato al mercato.

I visitors. 
Chi partecipa alle giornate aperte di Bagnaia? Chi sceglie di andare a vedere questo mondo (un po') fuori dal mondo? All'incontro di settembre 2015 la fauna era variegata. Intanto due famiglie complete (genitori e 2 bambini ciascuna): entrambe settentrionali, una tutt'ora  'effettiva' nella vita metropolitana  ma incuriosita dagli eco-villaggi, l'altra da circa un anno errabonda tra vari esempi di  vita comune e alternativa. Poi: due giovani fidanzati marchigiani, alienati dalla vita di fabbrica; una cameriera di ristorante bresciana; un romano di mezz'età, due giovani anch'essi in giro  solitario da mesi per eco-villaggi (ma di tutta Europa), una madre romana di mezz'età con figlia ventenne (e svogliata) al seguito.

Gli assenti.
 Man mano che passano le ore della giornata aperta, e che si conoscono un po' meglio le persone, i luoghi, le vicende, si avverte una presenza importante. E invisibile: quella degli assenti. Da un lato, coloro che c'erano e se ne sono andati: negli ultimi anni a Bagnaia c'è stato un turn over crescente di residenti, con un risultato a saldo negativo se è vero che in passato a Bagnaia hanno vissuto contemporaneamente oltre 25 persone, ed ora sono 16. Alcuni se sono andati dolcemente, e magari tornano più o meno spesso a scambiare sorrisi, viveri e idee. Altri molto meno. I 'bagnaroli' attuali non ne parlano volentieri, ed è comprensibile. Pian piano si capisce, in particolare, come la dipartita di due coppie, più o meno 12 mesi or sono,  debba esser stata davvero bruciante; con tanto di strascichi, e nocivi lasciti sia materiali (piante infestanti) che psicologici.

 L'altra assenza importante è quella delle nuove generazioni. A Bagnaia attualmente non ci sono bambini; e se si eccettua il figlio di J.S., neppure adolescenti. Tantomeno presenti sono coppie formate, giovani e potenzialmente in vista di concepimento. E' pur vero che tutto potrebbe cambiare anche solo nel giro di pochi mesi, con l'arrivo di nuovi comunardi. Però attualmente è così, e la cosa sembra corrugare i pensieri soprattutto delle donne, rimaste peraltro in minoranza dopo gli ultimi passaggi di turn over.

Se questi sono dati di fatto, tale è anche il tempo che è già trascorso dall'invenzione di Bagnaia. Trentasei anni, tra alterne vicende ma senza interruzione. Poche altre realtà del genere, nell'Europa intera, possono ad oggi vantare una storia così lunga. E' questa, più che un'idea, è – appunto – un dato di fatto.








sabato 5 settembre 2015

Tra Petra e il Cadore

Il monastero di Petra, e la cima del Sassolungo di Cibiana.




 Le rocce del Wadji Rum, e quelle delle guglie sotto Punta Serauta, sulla Marmolada




 Così lontane, cosi simili: due affinità visive tra altrettante meraviglie della creazione naturale, e umana. Si dice che in certi posti ci si sente più vicini all'essenza delle cose. Forse una frase fatta. Eppure in queste circostanze suona bene davvero.