venerdì 9 gennaio 2015

Picasso con lo sgabello

Negli ultimi anni della sua attività Pablo Picasso era concentrato soprattutto sul consolidamento del suo 'mito' pittorico, mentre la linea guida per l'opera di Miro' in quegli stessi anni era la sperimentazione, e la ricerca continua di nuovi scenari da sogno per l'arte" . A fine percorso, la giovane guida dalla voce di porcellana chiosa cosi' la sua illustrazione di "Picasso - alle origini della modernità",offrendomi una chiave di lettura sul perché della mia istintiva preferenza per le opere di Miro', rispetto a quelle del suo celebre collega. La mostra allestita tra ottobre 2014 e gennaio 2015 a Palazzo Strozzi di Firenze infatti era una retrospettiva tutt'altro che monografica: una mostra 'ruffiana', all'apparenza, di quelle che negli ultimi dieci anni hanno popolato varie sedi espositive italiane, puntando tutto nel titolo sull'effetto-traino di uno o due nomi da star della pittura, all'atto pratico poi visibili in modo molto marginale nell'esposizione effettiva.




Alla prova dei fatti, pero', non era il caso di questa mostra. Svariate le 'guest star', ma presenza di Picasso tutt'altro che minoritaria; non c'era Guernica, ma l'ampia sala dedicata agli studi preparatori - grazie anche al suggestivo allestimento in penombra - suppliva in modo interessante all'aspettativa disattesa. Del resto è difficile tacciare di superficialità le mostre di palazzo Strozzi, considerando l'accuratezza delle informazioni a corredo delle opere, e l'originalità degli stimoli rivolti al visitatori tramite pannelli e sale collaterali. Non solo: a chi come me è capitato di partecipare ad una delle attività didattiche per adulti e bambini l'esperienza di visita sarà rimasta particolarmente impressa. Muoversi tra tanti capolavori seguendo una guida-incantatrice, portandosi dietro uno sgabello come una scolaresca eccitata non capita molto spesso ai bambini, ancor meno ai genitori. Toccare con mano luoghi dove la cultura riesce ad essere coinvolgente anziché noiosa, soprattutto per le nuove generazioni, e una sensazione quasi onirica. E forse questo spiega anche perché la “figura uccello della notte” di Mirò lasci più il segno de “Il pittore e la modella” di Picasso.

Al museo del Cinema


“Il cinema è un'invenzione senza futuro”. Emessa di questi tempi, una profezia del genere potrebbe pure apparire verosimile. Probabilmente sembrava tale anche quando fu proferita in origine: invece è stata smentita per più di un secolo. A pronunciarsi in quel modo fu Antoine Lumière, padre dei due fratelli che proprio quell'invenzione ha reso storicamente immortali, con indubbio merito. Ce lo ricorda in avvio di percorso – con tono ammonitore? - il Museo del Cinema di Torino, 'creatura' espositiva del Terzo millennio (fu inaugurata nel Duemila) che vista oggi sprizza tutta la freschezza di una quindicenne: esuberante addirittura, se visitata in una domenica tra Capodanno ed Epifania come ho fatto io, costellata di lunga fila di visitatori all'ingresso al pari di tutti i grandi siti museali torinesi. Ma se quello di un giorno può esser un fuoco fatuo, non così può dirsi per le somme di un anno: 605mila ingressi staccati nel 2014, appena 25mila in meno del celeberrimo museo Egizio (La Stampa, 4 gennaio 2015).



E se i numeri non fanno poesia (frattali a parte), diciamo pure che per chi (come me) a queste epoche non l'avesse ancora visitato, l'allestimento di questo sito è davvero emozionante, al pari di alcune delle celebri sequenze da Oscar che immagini memorabilia e foto rievocano percorrendolo. La svettante Mole antonelliana è  una Moby dick dell'immaginario su grande schermo, con un ventre davvero ricco di allestimenti suggestivi mirabilmente spalmati lungo un coinvolgente percorso ascensionale. Un'ora buona di visita se ne va nella sezione-prologo, quella dedicata a tutto quanto ha preceduto il cinematografo, dalle ombre cinesi ai Kinepanorama. Attrezzi che oggi ci paiono obsoleti hanno rappresentato al tempo 'fughe' verso scenari tecnologici innovativi quanto a volte inquietanti, capaci di suscitare all'epoca entusiasmi e timori pari forse ai...Google glass odierni.  La prima parte si chiude con la visione del primo film proiettato a fine '800, e la celebre scena del treno resa brillantemente verosimile per l'emozione dei bambini accovacciati in prima fila:  si esce dalla sala divertiti e soddisfatti, eppure del museo abbiamo visto ancora ben poco. Quasi niente, al cospetto di quanto ci aspetta nel 'cavo' dell'edificio: un crescendo di suggestioni reso occasionalmente ancora più incisivo grazie alla retrospettiva di manifesti foto e clip dalla vasta produzione di Sergio Leone. Non entro nel vasto dettaglio, e per render l'idea dò giusto conto del divertito coinvolgimento che la parte più giovane del nostro gruppo di visita mette in mostra progressivamente, a dispetto del rifiuto iniziale all'idea di passare un pomeriggio al 'museo'.



Al museo del cinema non si vedono film per intero (per quello c'è il Cinema Massimo, giusto di fronte, con una programmazione tutt'altro che di 'cassetta'): eppure, se io abitassi in zona, credo che andrei spesso e volentieri a sedermi su una di quelle chaise longues che ne costellano il pavimento. Perché prima ancora che di coinvolgenti trame, il cinema è fatto sopratutto di sogno e magia. E in questo posto, a me pare, la 'scorta' di questi ingredienti è ben rifornita.