domenica 27 aprile 2014

Il vestito di Frida




Nel mio Messico visto nel 2004, Frida Kahlo non c'era. O meglio affiorava marginalmente dalle note della Lonely planet, e dalle descrizioni di chi ci guidò in giro per lo Yucatan. Gli anni seguenti hanno colmato parzialmente la lacuna, fino al 'toccare con mano' (o quasi) della più grande esposizione mai dedicatale, in corso questa primavera a Roma. Nel frattempo avevo letto Galeano, le vicende delle maquiladoras e quelle dei Narcos. Così, oggi, quelle tele quasi sempre autobiografiche appaiono come una sintesi efficace quanto drammatica e tutt'ora attuale di contrapposizioni che caratterizzavano quel Messico, e probabilmente lo segnano tutt'ora. Quella tra (certi) uomini e donne, e quella tra (un certo) Occidente sviluppato e il mondo altro, indigeno, contadino, (ex?) colonizzato. Uno stato di cose simboleggiato al meglio in un'opera che la Khalo intitolò “il mio vestito è appeso là”. Là, dove forse sta tutt'ora.